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Vendita bene mancante di qualità essenziale o promessa: è possibile la riduzione del prezzo?

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la legge tutela l'acquirente di un bene nei casi in cui questo dovesse risultare difettoso (artt. 1490 - 1492 cod. civ.). Si pensi, ad esempio, al prodotto non funzionante in ragione del quale il venditore è tenuto a prestare la garanzia e ad intervenire per la riparazione o la sostituzione.

Il codice civile regola, altresì, la diversa circostanza del bene comprato mancante di una qualità essenziale o promessa (art. 1497 cod. civ.). Si immagini, per ipotesi, alla vendita di un immobile con tanto di progetto per l'edificazione di un edificio che, per circostanze sopravvenute, non è più realizzabile.

Oppure si rimandi al caso di scuola dell'acquisto del lotto di frutta destinata all'esportazione che, nel concreto, si rivela troppo matura per affrontare il viaggio e la successiva rivendita senza andare incontro all'inevitabile deterioramento.

Ebbene, in entrambe le circostanze, l'acquirente può agire in risoluzione del contratto con lo scopo di restituire il bene e, nel contempo, al fine di ricevere il rimborso del corrispettivo versato. Invece, non è altrettanto pacifico e incontestato che, nelle ipotesi in questione, al compratore spetti l'alternativo diritto di trattenere la cosa chiedendo, semplicemente, il riconoscimento del minor valore della medesima e, contestualmente, pretendendo una riduzione del prezzo originariamente pattuito.

Si è discusso dell'argomento nella recente sentenza della Corte di Cassazione n. 4245 del 16/02/2024, nella quale l'oggetto della compravendita era stata una villetta e dove le parti in causa hanno litigato sulla misura del corrispettivo, effettivamente, dovuto in ragione dei difetti del bene.

Vediamo meglio, però, cosa è accaduto in concreto

Vendita bene mancante di qualità essenziale o promessa: è possibile la risoluzione?

A seguito di una compravendita, in merito al rimedio concesso all'acquirente nel caso in cui scopra che il bene acquistato è mancante di una qualità essenziale o promessa, si fa riferimento all'articolo 1497 del codice civile.

Ebbene, leggendo questo norma, possiamo, evidentemente, riscontrare che si fa riferimento alla sola facoltà di chiedere la risoluzione del contratto "Quando la cosa venduta non ha le qualità promesse ovvero quelle essenziali per l'uso a cui è destinata, il compratore ha diritto di ottenere la risoluzione del contratto secondo le disposizioni generali sulla risoluzione per indadempiemto…".

Pertanto, secondo un'interpretazione, sostanzialmente, formalistica della norma, il compratore non ha il diritto di trattenere la cosa o, meglio ancora, può farlo senza, però, poter pretendere una riduzione del prezzo originariamente pattuito (ex art. 1492 con. civ.).

In sostanza, si tratta proprio di ciò che era accaduto nella vicenda in commento. Se, infatti, leggiamo la sentenza della Cassazione, nei primi due gradi di giudizio, all'acquirente di una villa giudicata del tutto inidonea all'uso pattuito per mancanza di qualità essenziali del bene, era stato negato il diritto di conservare la proprietà dell'immobile.

Nonostante il compratore avesse chiesto, principalmente, la riduzione del corrispettivo pattuito per la villa, sia in primo che in secondo grado, gli uffici di merito avevano negato tale possibilità, ammettendo, soltanto la subordinata richiesta di risoluzione della compravendita.

Si trattava di una decisione non certo irrilevante per l'acquirente in quanto avrebbe, poi, dovuto ottenere il rimborso del prezzo dalla società venditrice, nel frattempo, fallita.

Insomma, in questa situazione, così come in altre, pare che il compratore non sarebbe, effettivamente, garantito e tutelato nella propria posizione. Pertanto, non sarebbe più giusto interpretare le norme in questione con maggiore elasticità, ammettendo, sempre e comunque, il diritto dell'acquirente di conservare la proprietà del bene?

Per la Corte di Cassazione, se un bene venduto risulta inidoneo all'uso convenuto per mancanza di qualità essenziali della cosa, al compratore spetta il diritto di chiedere la risoluzione del contratto ma, in alternativa, anche quello di trattenere il bene e di pretendere, semplicemente, una riduzione del corrispettivo.

Per gli Ermellini si tratta di una conclusione più logica e più conforme all'esigenza di tutela dell'acquirente nonché in linea con l'orientamento delle dottrina sull'argomento "La conclusione è in linea con l'orientamento prevalente della dottrina, secondo il quale il caso di presenza di vizi e quello di mancanza di qualità sono soggetti ad una disciplina che non conosce paratie, ma snodi di collegamento, giacché il profilo di atipicità dell'azione giudiziaria conferisce non solo alla domanda di risoluzione ma anche a quella di riduzione del prezzo il tratto di rimedio generale a tutela dell'acquirente, che quindi può domandare la riduzione del prezzo anche nelle fattispecie contemplate dall'art. 1497 c.c.".

Nel provvedimento, a supporto della propria posizione, la Cassazione ha, quindi, citato le pronunce di legittimità conformi a tale orientamento "Cass. n. 5361/1978, secondo cui la riduzione del prezzo prevista nei casi ex art. 1492 co. 3 c.c. per la cosa viziata è applicabile anche per la cosa priva di qualità ex art. 1497 c.c.; Cass. n. 10728/2001, ove in caso di consegna di veicolo usato anziché nuovo (qualificato come difetto di qualità) si è riconosciuta l'azione per il risarcimento del danno sotto forma di una proporzionale riduzione del prezzo corrispondente al maggior valore che la cosa avrebbe avuto".

Per queste ragioni, la Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e ha rimandato la questione alla Corte di Appello invitandola a riesaminare la lite alla luce dei descritti principi.

 

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